Il desiderio accartocciato

Spesso, al risveglio, il nucleo desiderante di me, che è la voce segreta a cui mi rivolgo per tracciare la rotta della giornata, mi appare come una entità accartocciata, appallottolata, rincantucciata nel sottoscala.

Sento la sua urgenza, ma è troppo rannicchiato perché io possa leggere un’indicazione chiara, da cui trarre spunto per l’operosità della giornata.

E allora, l’esigenza prima è quella di parlare un po’ con lui, di convincerlo a distendersi, a svelarsi e rivelarmi. Perché troppo spesso mi comporto come quello che ha delle cose da fare, già annotate in agenda. Mentre ho bisogno di ritrovare non un compito prescritto ma la voce viva della vita, a cui rispondere con emozione.

E stamani, mentre trafficavo pacatamente con questa faccenda, mi è venuta in mente l’idea molto suggestiva che quelle che considero le mie opere, di fatto sono i frutti di tutto un contesto che potrei chiamare il mio orto. L’ambiente in cui lavoro, gli strumenti, le cose che mi sostengono e accompagnano servizievoli in quel che faccio, che rispondono alle mie esigenze, che mi nutrono con la loro bellezza e il loro dono, il contesto delle relazioni che coltivo, i libri che leggo,, i gerani fioriti sui balconi, e questa splendida vista che ogni mattina accoglie e nutre la mia operosità.

Era dunque, quello che sentivo, un invito a coltivare con cura, con affetto, tutte le componenti di questo contesto creativo. E mi pareva che avesse – questo invito – un valore altamente ecologico.

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