Semi come parole

Nella foto: Un seminativo attorno al Lago di Candia


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Semi come parole


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Quello che si vede nella foto è un seminativo appena fuori dal Bosco degli Ontani, attorno al Lago di Candia.


In altri termini, tu cammini per mezz’ora dentro un bosco ombreggiante ed ubertoso, con sentieri ritagliati nelle siepi di rampicanti selvatici, solcato da canali d’acqua completamente ricoperti da ninfee, mentre si alzano anatre selvatiche, e all’improvviso tutto finisce e si apre una distesa arata di fresco e seminata a grano…


È stato a questo punto della mia lunga passeggiata che mi sono reso conto della “cosa” e del “perché”.


La “cosa” è che, mentre cammini e ti guardi attorno, sono le stesse cose che vedi – gli scenari, i dettagli, gli scorci o gli orizzonti più ampi – che si fanno parole.
Parole che ti dicono o ti consentono di dire qualcosa…
Qualcosa di emozionante – quasi una rivelazione in formato ridotto – che riguarda te, il senso della tua vita, e, forse, anche oltre i limiti della tua individualità…


Sono le stesse cose che senti nel tuo camminare e vedere che si fanno parole in cui si rivela a te stesso il tuo desiderio, il tuo sogno, il tuo modo di essere, e le cose che assolutamente devi cercare.


È possibile che in questi ambienti naturali si possano sentire cose che la città non consente più di sentire. Che però appartengono al patrimonio umano del sentire, che non si possono perdere, e che forse devono coniugarsi con il sentire della vita cittadina…


Forse è per questo che la gente va a camminare nei boschi, in campagna, o in montagna, attorno ai laghi. Ecco il “perché”.


Per raccogliere, non fiori o frutti, ma per “raccogliersi” un sentire e un vocabolario di metafore da riportare a casa.
Un vocabolario di metafore per potersi dire qualcosa di più originario, che rischia di essere perduto, che non si può perdere impunemente.


Uno di questi camminatori dei boschi, che ho incontrato sulle pendici del Verzel, mi diceva che quando la città si allontana troppo dalla “Terra” rischia di corrompere. Bisogna ristabilire vicinanza con la “Terra” – diceva. E auspicava che l’urbanistica e l’architettura del futuro ritrovassero una nuova alleanza con la Natura, perché se ne sono allontanate troppo e stanno corrompendo le nostre vite…


Una mattina, sopra Campiglia, in montagna, ho incontrato un altro camminatore dagli occhi azzurri che, mostrandomi la bellezza di un ponte in legno sul torrente, e di una adiacente “casetta di montagna” mi diceva qualcosa di analogo: Quando l’uomo lavora la terra con le mani o strumenti modesti, fa delle cose bellissime, un paradiso terrestre… Poi, scuotendo la testa, aggiungeva: Quando si usano grossi macchinari, o strutture industriali imponenti bisogna andare molto cauti per non violentare la Natura con effetti disgustosi


Io so che in queste passeggiate naturalistiche, dove cammino e scrivo, dove ascolto in silenzio e cerco le parole, io sto costruendo proprio questa alleanza tra cultura e natura che i miei interlocutori auspicano.

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