… e poi si scopre che era amore

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… e poi si scopre che era amore.


Desideravo che il piccolo dormisse, quando il dolore ci visitava. Non volevo che sentisse, così piccolo, il sapore del dolore. Avrei desiderato per lui una strada serena, in leggera pendenza. In maniera da fare ogni giorno quei piccoli passi, che lo portassero da qui a lì.
Tutti i genitori desiderano questo per i loro figli.


Anche se sanno che la vita è una madre molto più energica e dura.


Desideravo questo, come se la nostra vera vita non fosse qui, ma altrove. E come se quell’altra vita dovessimo viverla proprio qui, altrove.


Per questo, pensavo, non possiamo costruire le nostre verità sui dati di fatto. Per questo vale la pena d’essere folli e di scommettere. E noi diventavamo ontonauti nel momento stesso in cui scommettevamo sui nostri sogni.


Le nostre ragazze erano tutte belle. Eppure, molte di loro avevano iniziato il cammino cariche d’aggressività e di disprezzo per il loro corpo. Era sorprendente scoprire quante donne non amassero se stesse. E tormentassero il corpo con esercizi fisici spossanti, con diete mortificanti, con camuffamenti impietosi…
Fino a quando non ebbero imparato a coltivare dentro la loro mente l’immagine di sé che sognavano di essere. E incominciarono a credere con fiducia d’essere quelle che sognavano. E un po’ per volta, gradualmente, i loro corpi mutavano da soli, come se rispondessero al sogno. E mutavano i loro comportamenti. E ritrovarono armonia e grazia. La loro bellezza veniva da dentro.


I nostri giovani sognavano l’America. Volevano far fortuna e credevano di esserne capaci. Amavano appassionatamente i loro sogni e credevano che fossero già una realtà per il solo fatto che scaldavano loro il cuore. Gradualmente cadevano le paure, e smettevano di calcolare. Cominciavano a fare quello che amavano, anche gratuitamente. E diventavano sempre più bravi. E la vita veniva loro incontro.


Man mano che la loro impresa percorreva il mondo, man mano che creava attorno a loro un mondo più bello, un’altra impresa, parallela, avveniva dentro di loro. Una mutazione della loro anima, dei loro umori.


Al mattino andavano incontro al giorno con un sorriso e uno sguardo accogliente ed entusiasta che traeva origine da dentro e si proiettava sugli eventi. Non aspettavano più che fossero i fatti a dare loro motivo di rallegrarsi. Si aspettavano che i fatti seguissero la loro allegria. Regalavano per primi alla vita il sorriso dell’accoglienza. E la vita rispondeva, esattamente come fanno le persone quando vai loro incontro e le saluti per primo.


Insomma era la loro fiducia, coltivata consapevolmente, difesa e rinnovata ogni giorno, che regalava l’avventura di un’esistenza miracolosa. Ed erano loro stessi i primi ad essere sorpresi di quanto la realtà rispondesse ai loro desideri.


Partivano al mattino con la loro calda visione e accoglievano, nel fiume del tempo, ogni evento, anche il più piccolo, il più insignificante, perfino il più storpio, come un’opportunità. Vi seminavano il loro sguardo fiducioso e la terra fioriva.
Le analisi sulle “obiettive difficoltà per risolvere questo problema” non li sfioravano più di tanto. La loro mente creativa era tutta impegnata a cogliere anche le minime tracce del futuro sognato che si annunciava nelle cose.


Dopo le prime conquiste, fermandosi ogni giorno a domandarsi dove stessero andando e cosa stesse succedendo, si ritrovavano sempre più spesso a chiedersi cosa potessero fare per aiutare gli altri. E si rendevano conto che, fin dall’inizio, tutto era stato amore.


Non cercavano di immaginare un’impresa per fare del bene. Cercavano di inventare il modo di fare del bene facendo l’impresa che avevano scelto di fare.


Sviluppando la fiducia, non ci sentivamo più prigionieri non solo del pensiero realistico, ma neanche delle procedure accreditate. Se dovevamo fare marketing, lo facevamo per entrata casuale e lasciavamo perdere le grandi scuole di pensiero. Era più divertente, era più libero. Le cose funzionavano. Ciò che ci aveva impedito di capirlo era stata solo la paura che non funzionassero.


Era questo il modo con cui volevamo bene a noi stessi. Ed era questo che ci predisponeva a godere del voler bene agli altri.



Il ragazzino dormiva. E il mio sguardo era cambiato. Non avevo più paura che soffrisse troppo. Avrebbe avuto la sua vita e le sue scelte, e sarebbe stato bello.
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La foto: Silvia (ritratto)

Eugenio Guarini
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